< Previous30 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 devastata, e una destabilizzazione del- la regione che ancora oggi non è stata sanata. Combattere per le fonti energetiche Nonostante le guerre passate con la loro scia di morti e distruzione econo- mica e sociale, il controllo delle risorse fossili continua anche ai giorni nostri ad essere una fonte di tensioni. Nella guerra civile in Siria, iniziata nel 2011 e persistente anche ai giorni nostri, oltre alle questioni interne e geopolitiche ha giocato un ruolo cru- ciale il controllo delle vie di accesso energetico (come i gasdotti). Diverse potenze regionali, come la Russia e l’I- ran, hanno interessi legati alle risorse energetiche della regione, e il conflitto ha in parte coinvolto queste dinamiche. Secondo la World Bank, il costo econo- mico del conflitto siriano fino al 2020 è stato di circa 226 miliardi di dollari, il dato comprende la perdita di capitale umano, distruzione delle infrastrutture e danni economici complessivi. Prima della guerra civile, la produzione di pe- trolio siriana ammontava a circa 400 mila barili al giorno, oggi è crollata a meno di 30 mila a causa del conflitto. Per non parlare delle perdite in termi- ni di vite umane: oltre 500 mila morti dall’inizio del conflitto nel 2011 fino al 2020. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, 160 mila civili sono stati uccisi, a causa di bombardamenti, violenze settarie e operazioni militari contro le aree ribelli. A questo, si ag- giunge anche la crisi dei rifugiati con oltre 13 milioni di siriani sfollati (più della metà della popolazione del pae- se), dei quali circa 6,6 milioni hanno cercato asilo all’estero. Oltre ai morti diretti, la guerra ha portato a un crollo delle condizioni sanitarie, con miglia- ia di persone che hanno perso la vita a causa della mancanza di cure mediche adeguate. Il Mar Cinese Meridionale, un’area di oltre 3,5 milioni di chilometri qua- drati, dove si stima siano presenti 11 miliardi di barili di petrolio e oltre 5 miliardi di metri cubi di gas naturale è un altro esempio. L’area è contesa tra Cina, Vietnam, Filippine e altre nazioni che cercano di accaparrarsi il controllo delle riserve strategiche. La logica che guida queste tensioni è la stessa che ha caratterizzato i conflit- ti passati: la volontà di controllare risorse limitate per ottenere potere economico e politico. Una competizione dannosa e insoste- nibile oltre che miope perché molto probabilmente condanna il potenzia- le “vincitore” a trarre meno profitti rispetto alle aspettative visto che le riserve di petrolio e gas sono ormai in fase calante e, secondo stime recenti, potrebbero esaurirsi entro pochi de- cenni: il petrolio è destinato a durare ancora circa 50 anni, il gas natura- le potrebbe esaurirsi entro 60 anni, mentre le riserve di carbone potrebbe- ro durare ancora 130 anni. Purtroppo, oggi è l’Artico la nuova frontiera energetica, dove secondo i dati dell’United States Geological Survey (USGS) si stimano riserve di circa 90 miliardi di barili di petrolio e 47 miliardi di metri cubi di gas na- turale. La competizione per queste risorse potrebbe aumentare attirando l’interesse di paesi come Russia, Sta- ti Uniti e Canada, soprattutto man mano che lo scioglimento dei ghiacci renderà più accessibili queste regioni, e l’area rischia di essere destinata a di- ventare terra di tensioni. Il potere delle rinnovabili Le energie rinnovabili non solo posso- no soddisfare le esigenze energetiche globali, ma offrono anche un’oppor- tunità per ridurre drasticamente le tensioni geopolitiche legate al control- lo delle risorse. Invece di combattere per giacimenti petroliferi o gasdotti, possiamo investire in tecnologie che generano energia in modo sostenibi- le e distribuito. È una rivoluzione che può cambiare radicalmente il modo in cui gestiamo le nostre risorse e relazio- ni internazionali perché nessuno avrà il monopolio dell’energia e, di conse- guenza, ci saranno meno motivi per entrare in guerra. Energia Il futuro dell’energia Il Medio Oriente detiene circa il 48% delle ri- serve mondiali di petrolio, con Arabia Saudita, Iraq e Iran come attori principali. Le riserve di gas naturale, invece, sono concentrate in Rus- sia (24% delle riserve mondiali), Iran (17%) e Qatar (13%). Il petrolio durerà solo altri 50 an- ni, secondo le attuali stime. Il 29% della capacità energetica globale proviene da fonti rinnovabili. Le energie rinnovabili possono ridurre la competizione per le risorse limitate, promuovendo la pace e la stabilità globale. «Se il Kuwait coltivasse carote, non ce ne importerebbe nulla» (Lawrence Korb, assistente del segretario alla Difesa amministrazione Reagan, mentre gli Stati Uniti preparavano il massiccio attacco militare all'Iraq nel 1991)I l legame tra risorse naturali e conflitti rappresenta uno dei fat- tori chiave dietro molte guerre storiche, contemporanee e, pro- babilmente, future. Le risorse naturali, come oro, argento, rame, carbone, co- balto, diamanti e terre rare sono spesso al centro di tensioni geopolitiche, alimentando competizioni tra Stati e gruppi non statali. Fin dall’antichità il desiderio di controllare i metalli prezio- si ha plasmato la geopolitica mondiale. Essenziali per il progresso economico e industriale, tali materiali hanno in- fluenzato le decisioni di imperatori, re e generali, determinando la sorte di inte- re civiltà. La storia dimostra che dietro ogni grande conquista vi è spesso la ri- cerca di ricchezze nascoste, soprattutto nel sottosuolo. Il passato La guerra di Troia, celebre per l’epi- ca raccontata da Omero, è stata molto più di un semplice scontro tra greci e troiani in nome dell’onore e dell’amo- re di Elena. Dietro al mito si nasconde un interesse strategico: il controllo dello stretto dei Dardanelli e delle risorse au- rifere. Le città greche miravano infatti a dominare una regione ricca di oro al- luvionale, noto per aver reso famoso il leggendario re Mida. Anche l’espansione dell’Impero Ro- mano fu spinta dalla ricerca di risorse preziose. Le guerre puniche contro Car- tagine, per esempio, furono influenzate dalla necessità di controllare le miniere di argento e rame della Spagna. Giu- 32 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 Materia Molto spesso le materie prime sono tanto preziose ed essenziali che generano conflitti di Ivan Manzo Risorse da guerralio Cesare, invece, mosse guerra alla Britannia con l’obiettivo di mettere le mani sulle miniere di stagno della Cornovaglia, risorsa vitale per la me- tallurgia dell’epoca. E Augusto, primo imperatore di Roma, non fu da meno. Dopo aver conquistato l’Egitto, le cas- se dell’impero furono arricchite da un bottino di circa un miliardo di sester- zi in metalli preziosi. Questo afflusso di ricchezze consentì una rivoluzione architettonica: i nuovi edifici pubbli- ci, i templi e le ville imperiali furono eretti in marmo, simbolo di potenza e prosperità. Le campagne militari di Traiano aprirono a Roma le porte del- le miniere d’oro della Dacia (l’odierna Romania), aumentando ulteriormente la ricchezza dell’impero. Ma è con la scoperta del “Nuovo Mondo” che la sete di metalli preziosi raggiunse nuove vette. L’America si rivelò un’e- norme fonte d’oro e d’argento, risorse che cambiarono gli equilibri economici dell’Europa. Con il passare dei decenni i metalli di base, come il ferro e il rame, divennero sempre più importanti inne- scando la rivoluzione industriale prima in Europa e poi su scala globale. Il car- bone divenne così la risorsa più preziosa per alimentare l’industria e le ferrovie, e le nazioni che riuscivano a controllarne l’approvvigionamento dominavano il panorama economico. La guerra civile americana ne è un esempio lampante: il carbone degli Appalachi giocò un ruolo cruciale nello sforzo bellico del Nord, contribuendo a fondere cannoni e ali- mentare locomotive. La centralità del carbone si manifestò in numerosi conflitti successivi. La guerra franco-prussiana del 1870, così come le due grandi guerre mondiali, furono influenzate dall’interesse per il controllo delle riserve carbonifere. In particolare, il bacino della Ruhr in Germania e le miniere della Francia orientale diven- nero obiettivi strategici, dimostrando ancora una volta come le risorse mine- rarie siano state, e continuino a essere, motori più o meno nascosti dei grandi conflitti storici. Il presente Tra il 2010 e il 2021 circa 20 mila et- tari di foreste nelle terre indigene di Kayapó, Munduruku e Yanomami, in Amazzonia, sono stati devastati a causa dell’estrazione illegale di oro. A lancia- re l’allarme è un’indagine di Greenpeace, che denuncia la rapida espansione di questo fenomeno. Particolarmente pre- occupante è il fatto che, ancora oggi, l’oro sia in grado di generare violenze. L’invasione delle terre indigene da par- te dei garimpeiros aggrava le tensioni sociali e contribuisce all’aumento di conflitti armati oltre ad accrescere il traffico di droga. Inoltre, per via del traffico illegale di oro è stato dimo- strato che le popolazioni indigene subiscono diverse attività legate allo sfruttamento di donne e bambini (abu- si sessuali compresi), senza dimenticare gli impatti ambientali e sanitari dovuti all’uso del mercurio, un metallo alta- mente tossico che viene impiegato dai garimpeiros per separare l’oro dalle rocce. Una serie di fatti che sollevano interrogativi su come l’oro proveniente dall’Amazzonia venga commercializ- 33 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 Immagine: Depositphotos34 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 zato a livello globale. Questioni che coinvolgono anche l’Italia dato che il nostro Paese – dato al 2022 - è al ter- zo posto in Europa, dopo la Svizzera e il Regno Unito, per valore di oro importato. Da qualche anno, uno degli elementi più critici e chiacchierato, è senz’altro il cobalto. Utilizzato dall’industria bellica e da quella petrolifera in fase di raffina- zione, oggi lo ritroviamo anche nelle batterie a litio che servono ad alimenta- re i nostri PC, gli smartphone e i veicoli elettrici – anche se le cose stanno pian piano cambiando, basti pensare che og- gi il 40% delle auto elettriche è privo di cobalto e che lo sviluppo del settore viag- gia verso batterie allo stato solido e al sale -. Circa il 70% dell’estrazione mon- diale di cobalto avviene in Congo, Paese ricco di altri minerali come il coltan, il rame e l’uranio. Una ricchezza che oltre ad alimentare una guerra economica di accaparramento globale, che al momen- to vede la Cina vincitrice, ha esacerbato i tanti scontri già presenti nella zona. Come quello decennale tra l’esercito congolese e il gruppo di ribelli “M23” che trova proprio nel controllo delle miniere una delle ragioni della guerra civile in atto. C’è poi la questione dei diamanti di conflitto, meglio conosciuti come “diamanti insanguinati”. Si trat- ta di gemme estratte in zone di guerra e vendute per finanziare gruppi armati ribelli o governi coinvolti in scontri vio- lenti. Questi diamanti sono stati a lungo al centro di controversie globali per il loro ruolo nel sostenere guerre civili, principalmente in paesi africani come la Sierra Leone, la Liberia, il Congo e l’Angola. In risposta alla crescente pres- sione internazionale, nel 2003 è stato istituito The Kimberley Process (KP), un accordo multilaterale che mira a fermare il commercio di diamanti di conflitto, garantendo che i diamanti esportati si- ano accompagnati da certificati che ne attestino l’origine legale. Sebbene il KP abbia contribuito a ridurre la percentuale di diamanti insanguinati sul mercato globale, ha at- tirato una serie di critiche, sia per via della sua inefficacia nel risolvere in mo- do completo il problema e sia per la mancanza di controlli rigorosi in alcuni paesi partecipanti. Il commercio illegale di diamanti continua, dunque, a rappre- sentare una minaccia: le aree minerarie in paesi instabili rimangono difficili da monitorare, e sono ancora tanti i gruppi ribelli che continuano a sfruttare queste risorse naturali per finanziare operazioni violente e a sfondo militare. Il futuro Il mercato globale delle materie prime viene da un periodo di profonda crisi. La carenza di risorse ha causato un’impen- nata dei prezzi e, al contempo, sollevato dubbi sul ritorno agli equilibri registra- ti in passato. E questo anche per via di una domanda in continua crescita: dal 1950 al 2020 quella mondiale rivolta alle forniture di metalli è aumentata di ben otto volte. La transizione verso un’economia verde e sostenibile sta poi creando una nuova ondata di richieste indirizzate verso materiali tradizionali e non. Per esempio, l’indio, il niobio e l’ittrio sono metalli essenziali per le nuove tecnologie, e il loro impiego con- tinuerà a crescere nei prossimi decenni. La situazione in Ucraina ha inoltre esacerbato le tensioni legate alla dispo- nibilità di risorse. La Russia è infatti un grande produttore di metalli strategici e la guerra ha generato interrogativi sulla sicurezza dell’approvvigionamento. Al tempo stesso, la Cina controlla oltre il 90% della capacità di raffinazione delle terre rare e una quota significativa della produzione mondiale di litio, cobalto e celle fotovoltaiche, un fattore che raffor- za la sua posizione geopolitica. Anche Paesi come il Cile, l’Australia e il Congo, ricchi di metalli strategici, si affermano sempre più sulla scena mondiale. Nel corso della storia abbiamo impa- rato, spesso pagandone violentemente le conseguenze, che la concentrazione delle risorse in poche aree geografiche aumenta il rischio di instabilità. Per tale motivo, gli analisti concordano che il tema del controllo delle risorse strategiche, unita alla capacità di in- novare tecnologicamente, sarà sempre più al centro delle tensioni nazionali e sovranazionali. Le risorse naturali, la tecnologia e le di- suguaglianze globali saranno il motore di conflitti che sapremo disinnescare solo grazie a soluzioni multilaterali con un respiro di lungo periodo. La prevenzione di escalation, e la garanzia di una sicurezza globale, passa dunque da una gestione sostenibile, equa e in- clusiva delle risorse. Una gestione, in sostanza, completamente diversa da quella vista fino ad ora. Materia Immagine: DepositphotosN el 2023, la violenza lega- ta all’acqua ha raggiunto livelli preoccupanti: at- tacchi a infrastrutture idriche, scontri per il controllo del- le risorse e il suo utilizzo come arma di guerra sono diventati sempre più frequenti. In soli dodici mesi, questi episodi sono aumentati del 150% ri- spetto all’anno precedente, passando da 231 a 347. Per avere un’idea della portata del fenomeno, nel 2000 era- no solo 22 gli eventi di questo tipo registrati. A fornire questo quadro è il Think tank americano Pacific Institu- te che ad agosto 2024 ha aggiornato il “Water Conflict Chronology”, il da- tabase open-source più completo al mondo sugli episodi di violenza legata all’acqua. Un archivio che permette di risalire a 4.500 anni di tensioni intorno all’uso della risorsa. Tuttavia, la sua let- tura deve essere accompagnata da una seconda prospettiva, spesso tralasciata dai media generalisti: l’acqua è soprat- tutto un elemento di cooperazione. Aumenta di frequenza Dalle dispute territoriali nell’antica Mesopotamia fino agli attuali scontri per i diritti idrici tra nazioni e comuni- tà, Water Conflict Chronology mostra attraverso fonti storiche, report gior- nalistici e testimonianze dirette come l’acqua sia stata costantemente al cen- tro di rivalità, lotte di potere e guerre. Negli ultimi decenni, però, qualcosa sembra essere cambiato in termini di frequenza, come illustrato di recente da Peter Gleick, Senior Fellow e cofon- datore del Pacific Institute. «L’aumento significativo della violenza per le risor- se idriche riflette le continue dispute per il controllo e l’accesso alle scarse risorse idriche, l’importanza dell’acqua per la società moderna, le crescenti pressioni sull’acqua dovute alla cresci- ta della popolazione e ai cambiamenti climatici estremi e gli attacchi in cor- so ai sistemi idrici dove la guerra e la violenza sono diffuse, soprattutto in Medio Oriente e in Ucraina». Nel database i casi di conflitto sono clas- sificati a seconda che l’acqua sia innesco o causa scatenante (trigger), vittima (ca- sualty) o arma di uno scontro violento (weapon). Ampliando ciascuna di que- ste categorie emergono altre differenze; l’acqua può essere trigger di conflitti sociali, oppure di conflitti transfronta- lieri tra nazioni e non, senza differenze di scala. Nel primo caso, basti riporta- 36 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 H 2 O L’acqua può essere un elemento sia di pace sia di conflitto di Giorgio Kaldor giornalista ambientale Guerra e pace . Sull’ acquare alla memoria Cochabamba, Bolivia. Nell’anno 2000 «proteste di massa, di- sordini e violenze sono il risultato degli sforzi per privatizzare il sistema idrico» sintetizza in una stringa il database. “Cochabamba Water War” – così ven- ne ribattezzata, anche se guerra in senso proprio non era - fu innescata dall’acca- parramento della risorsa. Nel 2000, in cambio di aiuti finanziari dalla Banca Mondiale, la città di Cochabamba pri- vatizzò il suo inefficiente sistema idrico, affidandolo al consorzio multinazionale Aguas del Tunari con un contratto di 40 anni. Questo portò a un aumento drammatico dei prezzi dell’acqua, met- tendo a rischio l’accesso per i cittadini più poveri. Le violente repressioni delle proteste da parte della polizia e dell’e- sercito non fermarono la resistenza cittadina, che alla fine portò alla revoca della concessione. Anche se, nel 2006, Aguas del Tunari ottenne un risarci- mento grazie ad un arbitrato ICSID per la risoluzione illegale del contratto e l’espropriazione della concessione. Come a Cochabamba, anche oggi in America Centrale e Latina non man- cano esempi di conflitti innescati dalla privatizzazione. Solo nel 2020 si sono verificati casi a Chignautla (Messico) e nella Regione di Los Rios (Cile). L’acqua continua ad essere tra i fattori scatenanti nei conflitti transfrontalieri, specie in Asia Centrale. Nel 2021, «una disputa sull’accesso all’acqua e alle strutture idriche al confine tra Kirghi- zistan e Tagikistan portò a scontri gravi che causarono almeno 31 morti, deci- ne di feriti e l’evacuazione di 10 mila persone». Anche in Afghanistan, dopo lo scontro armato del 2022 tra le forze pakistane e i talebani al confine Spin Boldak-Chaman, causato dall’accusa di deviazione delle acque delle inondazio- ni, a maggio 2023 scoppiarono scontri con morti e feriti lungo il confine con l’Iran per una disputa sui diritti idrici del fiume Helmand. Acqua come bersaglio o vittima di un conflitto Nella classificazione del Pacific In- stitute, l’acqua può essere bersaglio o vittima di un conflitto (casualty). 37 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 Foto: Depositphotos38 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 Qui non serve andare troppo indietro nel tempo per esempi eclatanti. Il 6 giugno 2023 la massiccia diga di Ka- khovka sul fiume Dnipro, in Ucraina, venne distrutta «presumibilmente dal- le forze di occupazione russe, causando inondazioni massicce, più di 50 mor- ti e devastazioni ecologiche a valle e interrompendo l’approvvigionamento idrico per le città, le centrali elettriche e i sistemi di irrigazione». Oltre alla diga di Kakhovka, secondo stime pre- liminari della Kyiv School of Economics (KSE), da febbraio 2022 gli attacchi delle forze russe hanno avuto un im- patto devastante sulle infrastrutture idriche civili in Ucraina. Sono stati distrutti oltre 1.947 chilometri di re- te idrica e 25 impianti di trattamento delle acque hanno subìto danni signi- ficativi o sono stati completamente distrutti. Anche 182 stazioni di pom- paggio sono state colpite, soprattutto nelle regioni di Kharkiv, Luhansk e Donetsk. Per completezza, il Pacific Institute riporta danni, per esempio, anche nella regione russa di Belgorod, a causa dei bombardamenti in profon- dità dell’esercito ucraino. Spesso è difficile distinguere netta- mente tra due modalità di utilizzo dell’acqua nei conflitti: come bersaglio diretto o come strumento di pressione indiretta, cioè come arma. Un esempio di utilizzo dell’acqua come strumento di pressione è quello che ha visto, nel 2023, membri del cartello della droga di Sinaloa in Chiapas, Messico, in- terrompere l’approvvigionamento di acqua ed elettricità alla comunità per costringerla a partecipare ai blocchi stradali e alla disputa territoriale. D’altro canto, l’acqua può essere uti- lizzata come arma in conflitti su scala più ampia. Un caso emblematico è quello del conflitto israelo-palesti- nese. Il 9 ottobre 2023, due giorni dopo un attacco terroristico di Ha- mas, Israele minacciò l’interruzione totale dell’acqua a Gaza, minaccia poi concretizzata. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, di- chiarò infatti che non sarebbe stato permesso l’ingresso a Gaza di «elet- tricità, cibo, acqua e carburante». Inoltre, un’analisi satellitare della BBC ha documentato che centinaia di strutture idriche e igienico-sanita- rie nella zona sono state danneggiate o distrutte dall’azione militare israe- liana nella Striscia. Acqua come elemento di cooperazione Riconosciuto l’aumento di conflit- ti intorno alla risorsa idrica, si può davvero dire che l’acqua è solo trig- ger, target e weapon? Da un’altra fonte, il Transboundary Freshwater Diplomacy Database (Oregon State University) emerge una diversa pro- spettiva: dal 1948, il 77% delle 6.400 interazioni idriche registrate sarebbe stato improntato alla cooperazione e solo il 19% ha comportato un conflit- to. I conflitti idrici sarebbero poi per lo più alimentati da controversie sul- la quantità di acqua o dallo sviluppo unilaterale di infrastrutture. Secondo i ricercatori, le istituzioni svolgono così un ruolo nel facilitare la cooperazione e ridurre i conflitti per le acque condi- vise, nonostante l’adozione di trattati e accordi bi o multilaterali siano ral- lentati negli ultimi decenni. Tra il 1860 e il 1940 sono stati firmati in media meno di 20 accordi per de- cennio, mentre tra il 1950 e il 1980 ne sono stati firmati tra i 60 e gli 80 per decennio. Il picco è stato raggiunto negli anni ‘90, con oltre 120 accordi firmati, per poi diminuire con poco più di 80 accordi negli anni 2000 e solo poco più di 40 accordi nella deca- de 2010. E siccome la realtà è sempre più complicata, in conclusione, un’ul- teriore chiave di lettura. In primo luogo, è fondamentale riconoscere che conflitto e cooperazione possono coesistere all›interno della stessa situa- zione. In secondo luogo, non tutte le forme di cooperazione sono positive; in alcuni casi, tali collaborazioni pos- sono rafforzare squilibri di potere o crearne di nuovi. H 2 O Foto: Tom Kruse / terra-justa.org La popolazione boliviana che ha invaso la piazza principale di Cochabamba durante la guerra dell'acqua nel 2000Next >