< Previous20 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 Personaggi Cancellare l’ ipocrisia L’informazione ha il dovere della verità, specialmente rispetto al potere e ai potenti P eter Gomez, giornalista, scrittore e conduttore tele- visivo, è una delle figure più rilevanti nel panorama dell’informazione italiana. Cofondato- re de “il Fatto Quotidiano”, dirige dal settembre 2009 la versione online del giornale e, dal 2017, il mensile “FQ MilleniuM”. Nel corso della sua carriera, ha collaborato con diverse testate giornalistiche e ha lavorato di Michele Dotti21 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 come inviato e conduttore per programmi su Rai3 e LA7. Specializzato nel giornali- smo d’inchiesta, si è occupato di alcuni dei più significativi casi di corruzione politica, giudiziaria e di mafia, distinguendosi per un approccio critico verso i poteri forti e le ingiustizie sociali. Autore di numerosi saggi e libri d’inchiesta, il suo lavoro gli è valso prestigiosi premi giornalistici. In questa intervista, gli abbiamo chiesto una riflessione sul ruolo dell’informazione. Come definiresti il ruolo dell’informazione nella società contemporanea? «Il ruolo dell’informazione è quello di cercare sempre di dire la verità. L’obietti- vità forse è impossibile per un giornalista, ma l’imparzialità certamente è possibile. Bisogna tendere all’imparzialità, non farsi coinvolgere in prima persona nelle dispute ma raccontare le cose per quello che sono. Diceva tanti anni fa un uo- mo, non un bolscevico, ma un liberale come Luigi Einaudi: “conoscere per de- liberare”. Ecco noi dobbiamo cercare di dare in mano ai cittadini gli strumenti di conoscenza in modo che possano poi decidere essendo informati». In che modo l’informazione può contribuire alla costruzione della pace fra i popoli e con il Pianeta? «Esattamente come dicevamo prima: rac- contare la verità, raccontare quello che sta all’origine dei conflitti, le cause, non le giustificazioni, perché si è arrivati a quel punto? Raccontare senza infingimenti che chi ora dice di combattere una guer- ra giusta - in ogni caso entrambi i fronti dicono sempre di combattere una guer- ra giusta - in passato sicuramente ne ha combattute di sbagliate, raccontare che la legalità internazionale è saltata ormai ven- ticinque anni fa, perché bombardammo, per esempio, Belgrado con D’Alema. Poi osserviamo quello che è accaduto in Iraq con la seconda guerra, quello che è acca- duto in Libia; tutto questo dimostra come dietro le guerre che sempre si ammantano di parole d’ordine straordinarie, vi siano poi in realtà tante ipocrisie. Il mestiere del giornalista è cancellare l’ipocrisia. Credo che questo possa aiutare i popoli a votare in modo più consapevole».22 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 Che cosa significa per te, in concreto, la libertà di stampa? E da che cosa e minacciata oggi? «La libertà di stampa oggi è minacciata per prima cosa da quei giornalisti che fanno di tutto per non essere liberi. Inol- tre, esiste una condizione oggettiva legata al fatto che l’informazione è sempre meno redditizia per gli editori ca- pitalisti, spesso imprenditori con interessi prima- ri in altri settori, come l’edilizia, la sanità privata o l’industria au- tomobilistica. Di conseguen- za, chi possiede i giornali è costretto a cercare rapporti privilegiati con la politica, per ottenere favori e prebende. E in questo momen- to, gli editori che ripianano i buchi di società editoriali, che sono in passivo, sono particolarmente forti e il direttore potrà difficilmente dire di no di fronte a notizie che contrastano il pensiero o gli interessi dell’editore, perché il suo stesso stipendio è a rischio. I giornalisti italiani poi hanno un problema: sono italiani e questo si deve aggiungere. Ma non basta, stiamo sempre più spesso barattando la nostra libertà con la sicu- rezza. Tutto quello che accade nel mondo dei social in nome della sicurezza, anche la sicurezza giusta, dei nostri figli, va in qualche modo a intaccare la libertà di pa- rola. Ricordo che in Italia la stampa, ma vale per tutti, non può essere sottoposta a censura; può intervenire dopo un’autorità terza, un magistrato, nel momento in cui invece la politica o gli stessi proprietari dei social si arrogano il diritto di decidere che cosa può essere pubblicato e cosa no, ecco che la libertà di stampa è in pericolo». Quali strategie potrebbero adottare i media per contrastare la disinformazione sulle tematiche ambientali? «Il mestiere dei media non è di contrasta- re la disinformazione ma di raccontare le cose come stanno e se si raccontano con autorevolezza, la disinformazione appa- rirà per quello che è: un cumulo di balle. Il problema, come dicevamo prima, è che i media spesso non hanno alcun in- teresse a raccontare la verità, soprattutto quando diventa oggetto di campagne politiche. L’ambiente, l’ecologia franca- mente non sono di destra né di sinistra; invece ci si divide in maniera surreale su questo tema. Ecco, fare bene il proprio lavoro basta per contrastare la disin- formazione, il vero ostacolo è che solo alcuni lo fanno, mentre molti altri no». La tecnologia e i social media come stanno cambiando il modo in cui l’informazione viene prodotta e consumata? «Tecnologia e social media stanno cam- biando il mondo dell’informazione perché le persone hanno la possibilità di far sentire la loro voce sempre più forte- mente; fornire notizie diverse, ma certe volte anche balle sesquipedali. Il problema vero che in questo momento mi preoccu- pa riguarda la libertà di stampa, o meglio, la libertà di essere informati. Su Insta- gram da qualche tempo è in vigore una policy per cui se non si spunta all’interno delle preferenze la casella: “Voglio accet- tare contenuti politici e sociali”, saranno visibili i contenuti politici sociali solo del- le persone che segui, e non più random. Questo è un altro grave attentato, secon- do me, alla libertà di informazione». Che consiglio daresti ai giovani che si avvicinano al mondo dell’informazione, soprattutto in un contesto nel quale la disinformazione è così diffusa? «Ai ragazzi che vogliono avvicinarsi al mondo del giornalismo vorrei dare dei consigli abbastanza semplici: imparate a scrivere non solo in italiano, impa- rate a fare i vostri servizi non solo in italiano. Il mercato italiano è quello che è. Importante fare una scuola di giornalismo, ma bisogna essere pronti a lavorare anche nel resto del mondo. Il fatto che la disinformazione sia così diffusa rende migliore il mestiere e gli obiettivi che dovremmo avere per fare questo mestiere. In un mondo di ballisti, cercare di essere un’eccezione». Se trovassi la lampada magica e potessi esprimere tre desideri, quali sarebbero? «Beh, se si tratta di tre desideri relativi al mondo dell’informazione, una Rai indipendente dai partiti e dalla politica, governata da un sistema, da un’Authori- ty che rappresenti tutta la cittadinanza. Vorrei dei cittadini disposti a spendere, anche poco, ma a spendere per avere l’in- formazione da fonti che possono essere considerate autorevoli. E poi che tanti colleghi si ricordassero che dovremmo essere cani da guardia del potere e non cani da riporto. Ma quest’ultimo è il de- siderio più difficile da realizzare». Un’ultima domanda, una curiosità personale: cosa ha spinto “il Fatto Quotidiano” a sostenere Ecofuturo Festival, fin dalle prime edizioni, quando eravamo ancora sconosciuti? «Fin dall'inizio, sostenere Ecofuturo è sta- to un impegno imprescindibile per due ragioni: la prima, perché ci rendevamo conto di quante brave persone gravi- tassero attorno al progetto; la seconda, perché, ancor prima che il cambiamento climatico e la sostenibilità diventassero temi di massa, avevamo già compreso l’importanza di riflettere sui luoghi in cui viviamo, su come viviamo e su cosa vogliamo lasciare ai nostri figli. Insom- ma, per noi era una scelta obbligata e l’abbiamo portata avanti». Personaggi Il mestiere dei mass media è quello di raccontare le cose come stanno e di farlo con autorevolezzaFOCUS Le risorse naturali all’origine dei conflitti; le strategie possibili per creare Pace ECOLOGIA & PACE IL CONTESTO Pace in bilico di Alessandro Marescotti ENERGIA Petrolio mortale di Cecilia Bergamasco MATERIA Risorse da guerra di Ivan Manzo H 2 O Guerra e pace. Sull’acqua di Giorgio Kaldor TECNOLOGIA Arruolare i chip di Sergio Ferraris CLIMA Il giusto del clima di Rudi Bressa CONSEGUENZE Clima di guerra di Marco Magnano BUONE PRATICHE La pace è Eco di Giorgia Burzachechi L’AMBIENTE IN NUMERI Conflitti in crescita di Sergio Ferraris IL PUNTO Pace dalla Natura di Michele Dotti 36 51 50 28 24 44 40 3246 4824 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 di Alessandro Marescotti presidente di PeaceLink La guerra in Ucraina e il conflitto di Gaza hanno prodotto un boom delle armi in Borsa, mentre le rinnovabili ritardano la crescita L’ invasione russa dell’Ucraina, iniziata a febbraio 2022, ha innescato una serie di eventi che hanno scosso profonda- mente i mercati finanziari globali, con effetti divergenti su vari settori eco- nomici. Da una parte, le azioni delle aziende produttrici di armi hanno visto un’impennata mentre, dall’altra, i tito- li legati alle energie rinnovabili hanno subito una contrazione. Anche le stra- gi a Gaza hanno portato in alto i titoli dell’industria bellica che però vanno in giù quando si aprono spiragli di dialo- go e di pace. Questo paradosso mette in luce una cruda realtà: i conflitti armati continua- no a spingere gli investimenti verso la guerra, mentre la transizione ecologica, fondamentale per un futuro sostenibile e pacifico, rallenta. L’effetto della guerra sui mercati finanziari La guerra in Ucraina ha portato ad un’accelerazione delle spese militari in Europa e nel mondo. Paesi come la Germania hanno annunciato massicci aumenti nei loro budget per la difesa, spingendo verso l’alto le azioni delle aziende che producono armamenti. Le principali compagnie del settore della difesa, come Lockheed Martin, Nor- throp Grumman, Thales, Leonardo e Rheinmetall, hanno visto i loro titoli crescere significativamente con aumen- ti, in alcuni casi, anche a due cifre. Gli investitori, attratti dalla prospettiva di profitti a breve termine derivanti dai contratti governativi, hanno riversato capitali in queste aziende, contribuendo ad alimentare un ciclo in cui la guerra diventa un fattore di crescita economi- ca per alcuni settori. Nei paesi europei della Nato le spese in armamenti nell’ul- timo decennio sono aumentate di oltre il 270%. Anche l’economia russa vede crescere l’industria bellica che diventa una sorta di “moltiplicatore” keynesiano. Lo testimonia il fatto che la produzione industriale e la produzione militare han- no registrato in Russia un aumento del 3,3% a luglio di quest’anno. Il PIL russo per la prima metà del 2024 è aumentato Il contesto Pace in bilico25 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 del 4,6%, rispetto all’1,8% nello stesso periodo dell’anno scorso. Sono numeri terribili che indicano lo spostamento del baricentro economico verso l’industria militare. Rinnovabili in difficoltà All’opposto, i titoli delle aziende impe- gnate nella transizione energetica verso le rinnovabili hanno subìto un calo. Le ragioni di questo fenomeno sono mol- teplici e interconnesse. In primo luogo, l’aumento dei costi delle materie prime necessarie per la produzione di impianti eolici, solari e di batterie – come il rame, il litio e altre terre rare – ha reso meno profittevoli gli investimenti in questo settore. La guerra ha interrotto le cate- ne di approvvigionamento. Le sanzioni contro la Russia, un fornitore chiave di alcune di queste risorse, hanno ulterior- mente complicato la situazione. L’attrito geopolitico dell’Occidente con la Cina, altro importante fornitore di terre ra- re e forte competitor nelle tecnologie green, rende ancora più complicata la situazione. Inoltre, l’incertezza economica globa- le ha spinto molti investitori a ritirare i propri fondi da asset considerati più rischiosi, come le energie rinnovabili, per investirli in beni rifugio. Questa dinamica ha creato una situazione pa- radossale in cui, nonostante la crescente urgenza di affrontare la crisi climatica, i mercati hanno penalizzato le aziende che lavorano per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. La transizione verde è complessivamente in affanno mentre la guerra assorbe le risorse euro- pee. I finanziamenti pubblici realmente disponibili per realizzare gli impegni indicati nell’agenda strategica dell’UE 2024-2029 sono appena il 30% del ne- cessario, lo documenta un rapporto di “Finance Watch”. Lo spettro degli euromissili Occorre ragionare su come la prospet- tata installazione dei nuovi euromissili in Germania (e molto probabilmente in Europa) possa ostacolare la transizione ecologica. Tre sono i possibili effetti di Foto: Ngad / Depositphotos26 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 un ritorno al rischio di guerra globale con lo sfondo della catastrofe nucleare: deflessione delle risorse: l’allocazione di risorse significative (finanziarie, umane, tecnologiche) per lo svi- luppo e il mantenimento di sistemi missilistici devierà risorse che potrebbero essere in- vestite in progetti per la transizione ecologica, co- me le energie rinnovabili, l’efficienza energetica e la mobilità sostenibile; minaccia alla cooperazione internazionale: la presenza di euromissili aumenterà le ten- sioni geopolitiche e ridurrà la cooperazione internazio- nale sui temi ambientali. La transizione ecologica ri- chiede una collaborazione globale mentre la frattura generata dalla nuova guer- ra fredda (che porterà la Cina fuori dal campo dell’economia globalizzata occidentale) formerà due grandi isole economiche semi-autar- chiche: l’Occidente e i BRICS; impatto psicologico: la percezione di una minaccia costante porterà a una riduzione dell’attenzione verso le questioni ambientali, poiché la si- curezza militare verrà percepita come una priorità assoluta. Su questo cupo scenario occorre inter- venire proattivamente per scongiurarlo (l’installazione dei nuovi euromissili è previsto per il 2026). Su PeaceLink è stata lanciata una raccolta di firme per la mobilitazione, promossa da esponenti di spicco del mondo della pace, fra cui il missionario Alex Zanotelli e lo scienziato Carlo Rovelli. Il link è www.peacelink.it/ noeuromissili Il Carbon Mortality Cost Vorrei fare un esempio concreto di cosa accadrà se non abbracceremo la transizio- ne ecologica abbattendo drasticamente le emissioni di CO 2 . E vorrei prendere come esempio la questione ILVA di Ta- ranto, che produce una quantità di CO 2 doppia rispetto alla quantità di acciaio prodotta: se lo stabilimento produce 5 milioni di tonnellate/anno di acciaio il risultato è che tale produzione è accom- pagnata dal rilascio in contemporanea di 10 milioni di tonnellate/anno di CO 2 . Il dibattito sulle emissioni inquinan- ti dell’ILVA si è spesso concentrato sull’impatto locale sulla qualità dell’aria e sulla salute dei cittadini tarantini. Tut- tavia, le conseguenze delle emissioni di CO 2 di una singola industria possono estendersi ben oltre i confini regionali e temporali, proiettando un’ombra pesan- te sul futuro di intere generazioni. Entriamo nel concetto di «carbon mor- tality cost»: in sostanza, è una stima del numero di decessi prematuri attribui- bili alle ondate di calore (senza contare gli eventi meteorologici estremi e altri impatti sanitari legati al cambiamento climatico), causati da un determinato quantitativo di emissioni di gas serra. Ap- plicato al caso dell’ILVA, questo calcolo ci offre uno scenario inquietante: si stima che, nel periodo compreso tra il 2020 e il 2100, le sole emissioni dell’acciaieria possano causare oltre 1.800 decessi pre- maturi ogni anno a livello globale. Se l’ILVA continuerà a produrre con questo ciclo produttivo per altri dieci anni le vit- time sono stimate oltre 18 mila. La dicotomia tra guerra e pace Questo scenario solleva questioni fon- damentali sul futuro che vogliamo costruire. Da un lato, i profitti delle aziende produttrici di armi sono in crescita, segno che il mondo sta inve- stendo di più nella guerra, dall’altro le energie rinnovabili, pilastro di un futuro sostenibile e di pace, stanno affrontando difficoltà che potrebbero rallentare la loro diffusione. Le implicazioni sono pro- fonde: la guerra non solo devasta vite umane e terri- tori, ma distorce anche le priorità economiche globali. Invece di investire nella pace e nella sostenibilità, stiamo assistendo a una corsa agli armamenti che rischia di aggravare ulteriormente le tensioni internazionali e di compromettere gli sforzi per contrastare il cambiamento climatico. Un appello per un futuro sostenibile La guerra in Ucraina sta resuscitando il nucleare e il carbone. La strage sen- za fine a Gaza sta distruggendo la stessa speranza della pace. Vi è poi il dramma del Sudan dove si sta consumando uno sterminio di civili di cui si parla pochis- simo. Lì, la fame è ritornata a crescere drammaticamente proprio ora che do- vremmo celebrare la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030. In questo contesto è più che mai urgente ripensare il futuro. Quali sono le nostre priorità? Le risorse investite in armi po- trebbero essere destinate a progetti di energia rinnovabile, innovazione tecno- logica per la sostenibilità e programmi di pace. Solo così potremo sperare di costruire un mondo in cui le crisi cli- matiche, la fame e i conflitti armati non siano la norma a cui rassegnarci. L’ecologia e la pace sono inseparabi- li: senza un ambiente sano, non può esserci pace duratura e senza pace, la sostenibilità rimane un obiettivo ir- raggiungibile. È tempo di invertire la rotta, di disinvestire dalla guerra, di trattare per un cessate il fuoco mondia- le e di abbracciare un futuro che metta al centro la vita, l’ambiente e la coope- razione tra i popoli. Il contesto I conflitti armati continuano a spingere gli investimenti verso la guerra, mentre la transizione ecologica rallenta28 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024 F in dall’inizio dell’era indu- striale, le risorse energetiche, in particolare i combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone), sono state un motore fon- damentale delle economie mondiali e causa di numerosi conflitti internazio- nali. Il petrolio, essendo cruciale per alimentare l’industria, i trasporti e le economie, ha spesso rappresentato un obiettivo strategico. Oggi, nonostante l’aumento delle energie rinnovabili, i combustibili fossili restano una ri- sorsa geopolitica centrale. Secondo stime dell’International Energy Agen- cy (IEA), nel 2021 circa l’80% del consumo energetico globale proveniva ancora dai combustibili fossili. Questo dato sottolinea quanto sia ancora for- te la dipendenza mondiale da petrolio, gas e carbone. Le tensioni globali che ruotano attorno al loro controllo, dalla Seconda guerra mondiale fino ai conflitti in Medio Oriente e alle tensioni nel Mar Cinese Meridionale, sono la dimostrazione di quanto sia cruciale il tema. Un ciclo di violenza e competizione che ha causato milioni di morti, distruzione di infrastrutture e instabilità politica. Combustibili fossili tra distruzione e instabilità Nel XX secolo, il petrolio è diventa- to la risorsa più preziosa del Pianeta, alimentando il progresso tecnologico e industriale. Tuttavia, questa dipen- denza ha creato una competizione feroce tra le nazioni, molte delle quali sono entrate in guerra pur di assicurar- si il controllo delle riserve energetiche. La Seconda guerra mondiale è il pri- mo esempio di guerra per l’energia del secolo scorso: il Giappone invase il Sud-est asiatico per assicurarsi le risorse di petrolio necessarie al suo sforzo bellico, mentre la Germania nazista puntava ai campi petroliferi del Caucaso. Paesi come l’Iraq, l’Arabia Saudita e l’Iran, ricchi di petrolio e gas naturale, sono stati al centro di tensioni geopo- litiche e conflitti armati. La logica del dominio delle risorse fossili ha reso queste regioni particolarmente vulne- rabili all’instabilità, poiché ha attirato l’attenzione di potenze straniere e ha alimentato scontri interni. Le guerre per il petrolio hanno portato alla de- vastazione di intere nazioni. Una su tutte, quella del Golfo del 1990-1991, scatenata dall’invasione irachena del Kuwait, in parte per controllare le sue vaste riserve petrolifere. La coalizio- ne internazionale, guidata dagli Stati Uniti, intervenne per respingere l’in- Petrolio mortale Energia Buona parte dei conflitti dal dopoguerra a oggi si sono combattuti per le fonti energetiche di Cecilia Bergamasco giornalista scientifica Illustrazione: PeopleImages.com / Depositphotosvasione. Oggi è un esempio lampante di come il controllo delle risorse pe- trolifere possa diventare il pretesto per conflitti di vasta scala. Il Kuwait, con il suo 10% delle riserve mondiali di petrolio, è stato l›obiettivo di Saddam Hussein, che mirava a rafforzare il po- tere economico del suo paese proprio grazie al petrolio. Il costo di questa guerra in termini di morti è stimato tra 25 mila e 30 mila persone, in ter- mini economici tra i 60 e 100 miliardi di dollari, gran parte coperto da paesi alleati come l’Arabia Saudita, il Giap- pone e la Germania, che finanziarono l’operazione a guida statunitense. Per il Kuwait si stimano perdite dirette al settore petrolifero tra 10 e 15 miliardi di dollari, a causa di sabotaggi e in- cendi appiccati dalle truppe irachene ai pozzi petroliferi. La guerra non so- lo ha portato morte e distruzione, ma ha anche evidenziato quanto le risorse fossili possano diventare un’arma di ricatto geopolitico. La guerra in Iraq (2003-2011) è stata un altro tragico capitolo di questa sto- ria. Sebbene giustificata ufficialmente con pretesti legati alla sicurezza globa- le e alle armi di distruzione di massa, il vero obiettivo era il controllo delle riserve energetiche irachene. Con ol- tre 140 miliardi di barili di petrolio stimati, l’Iraq è diventato un campo di battaglia per le potenze occidentali, ma il prezzo di questa guerra è stato altissimo: tra 200 mila e 300 mila morti, con 185 mila civili iracheni morti sia a causa del conflitto sia delle sue conseguenze, tra cui violenze set- tarie, attentati terroristici e attacchi aerei. Un’intera generazione irachena 29 L’ECOFUTURO MAGAZINE Settembre-Ottobre 2024Next >