< Previous20 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 Personaggi Speranza contro ogni speranza L’ecologia sociale è la sola possibilità per vincere la sfida del clima S anare la crisi climatica ripensando l’approccio sociale della politica. È questo il tema alla base dell’eco- logia sociale. Ma a che punto siamo? Ne abbiamo parlato con Karl-Ludwig Schibel, socio- logo, che dal di Giorgia Burzachechi21 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 1970 fino agli inizi degli anni ‘90 è stato docente di ecologia sociale presso il dipartimento di sociologia dell’Uni- versità di Francoforte. Vive da 42 anni a Utopiaggia, una comunità intenzio- nale a sud del Lago Trasimeno di cui è cofondatore. È stato coordinatore della Fiera delle Utopie Concrete, un evento annuale a Città di Castello che evidenziava esperienze e soluzioni per la conversione ecologica dell’economia e della società. Dal 1992 fa parte della presidenza dell’Alleanza per il Clima delle Città Europee gestendo la reta italiana. Inoltre, cura la rubrica “Life Style” del bimestrale “QualEnergia” di Legambiente. Ritiene ci sia ancora necessità di spiegare i concetti alla base dell’ecologia sociale? «Il concetto di ecologia sociale non richiede più spiegazioni. Oggi la Commissione Europea lavora con lo slogan “non lasciare indietro nes- suno”, che contempla la transizione ecologica giusta; quindi, socialmente sostenibile è al centro del discorso europeo. È ovvio che tutti i problemi ecologici hanno un versante sociale, ma questo purtroppo per molto tem- po è stato trascurato completamente o considerato di secondaria impor- tanza. Al centro dell’attenzione c’era prima o una natura da proteggere o un futuro eco-tecnocratico. Fino a poco tempo fa, per esempio, la trasforma- zione energetica era una questione di sostituzione delle fonti fossili con le energie rinnovabili e l’aumento dell’efficienza energetica. Le ricadute sociali di questa trasformazione erano troppo poco considerate». Negli ultimi dieci anni, il concetto di trasformazione ecologica si è diffuso ampiamente, ma una parte significativa della società resta diffidente o ostile. A che punto siamo? «La consapevolezza del processo di trasformazione in atto è ben diffusa, anche se le idee a volte sono vaghe. Però la sfiducia e spesso l’ostilità ver- so la conversione ecologica si basano anche sulla sensazione di una disu- guaglianza, purtroppo a volte reale, per cui i benefici sono per le fasce agiate, come gli incentivi per gli im- pianti fotovoltaici o gli interventi per l’efficienza energetica della propria casa, mentre i costi devono pagarli tutti, sotto forma di tasse. Potrebbero sembrare dei casi un po’ semplicistici, ma sono di ordine pratico per chi ha meno strumenti economici a disposi- zione. La mia sensazione è che ci sia una buona conoscenza dei processi in atto; quello che manca è l’organizza- zione di questo processo in un modo più equo per tutti”. L’Europa, almeno nella teoria, si sta impegnando molto per una transizione equa e sicuramente il Green Deal è un ottimo strumento. Come siamo messi in Italia? «Noi, come Alleanza per il Clima Italia, lavoriamo molto con gli enti locali. In questo Paese ci sono i “soliti noti”, enti “bravi”, che si trovano qua- si tutti al Nord. C’è ancora molto da fare. Quando vado ai convegni o alle conferenze di inaugurazione di azioni volte alla transizione, mi sorprende sempre ascoltare i sindaci o le varie cariche dell’amministrazione pren- dere la parola. Cominciano con dei discorsi bellissimi, di cui sottoscrive- rei ogni singola parola. Ma quando si entra nel merito del “come” verranno realizzate le azioni, c’è poco di con- creto. È una questione di mancanza di volontà politica di andare oltre le buone intenzioni, di inerzia struttura- le delle amministrazioni e anche reale mancanza di fondi. La cittadinanza, comunemente, non accoglie di buon grado i cambiamenti e se poi intravede queste difficoltà, predilige la strada più facile (e magari meno sostenibile). L’I- talia si muove molto lentamente, ma si muove verso un’economia circolare con al centro le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Quello che mi stupisce è dover ascoltare ancora di- scorsi assurdi sul ritorno del nucleare attuale e sulla fusione nucleare come tecnologia applicabile nel medio-breve 22 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 termine che miracolosamente fornirà energia elettrica pulita, infinita e a basso costo. Tutti questi discorsi non hanno alcun riscontro nell’economia e nella scienza, eppure ancora oggi si ascoltano da rappresentanti anche di questo Governo». Da un lato, c’è un recupero della proposta nucleare e del gas metano come male minore; dall’altro, un attacco alle rinnovabili e alla transizione ecologica. Quale dovrebbe essere la risposta degli ambientalisti? «’Shame and Blame’, perché i tem- pi per essere gentili sono terminati. La discrepanza fra i problemi che crescono rapidamente e le soluzioni che si applicano troppo lentamente si è fatta ampia. L’Italia sta proce- dendo, solo che tutto è troppo lento in paragone alla crescita dei pro- blemi. La situazione è drammatica. Quindi zero tolleranza con le false soluzioni e con i delinquenti delle fake news ambientali. Il movimento ambientalista, nella mia percezione, dovrebbe muoversi in due direzio- ni: il primo, come già detto, molto determinato, verso chi propone fal- se soluzioni che stanno alimentando interessi economici del fossile e del settore energetico tradizionale. Al contempo occorre anche una pro- fonda autoriflessione interna, capire meglio insieme i problemi come si presentano oggi e come impostare la lotta per le soluzioni. È supera- to l’approccio che risale alla nascita del movimento ambientalista con- temporaneo di divulgare, spiegare, informare. La gente sa e non ha bi- sogno di prediche e insegnamenti. Sono necessarie nuove strategie e nuove narrative per arrivare alle per- sone non convinte delle necessità e urgenza della conversione ecologica. Andrebbero organizzati gli stati mag- giori della strategia del movimento ambientalista italiano». Tra pochi mesi ci sarà la COP29 in Azerbaigian, ma le assise preparatorie non promettono bene, specialmente per la finanza climatica. Se non si trovano nemmeno 100 miliardi di dollari l’anno per aiutare i Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, come possiamo impegnarci in un progetto più grande? «Ho seguito con interesse le Con- ferenze delle Parti fin dalla prima edizione del 1995 a Berlino. Dopo tutti questi anni mi sembra eviden- te che il processo internazionale sia sopravvalutato, carico di troppo spe- ranze. Dalle Conferenze delle Parti scaturiscono accordi internazionali come quello di Parigi, ma non hanno alcun carattere vincolante per gli stati membri. Creano un quadro di riferi- mento per gli attori di buona volontà, non di più e non di meno. Ma trovo inutile spendere tempo a dare giudizi negativi sulle Conferenze. Hanno un loro ruolo e creano danni quando ci si aspetta troppo». Quindi, per ricapitolare, ripartire dal locale, investire nella formazione degli attori della transizione, trovare strumenti a sostegno soprattutto delle fasce più deboli e avere capacità critica del contesto in cui si opera. Che altro possiamo fare come ambientalisti? «Non perdere tempo a criticare. Il mosaico della transizione ecologica è troppo complesso per focalizzarsi su un solo tassello. Il processo è tortuo- so ed è impensabile che ogni attore possa pretendere di capire tutto o ad- dirittura in quale direzione andare. Questo è semplicemente presuntuo- so. Le grandi teorie avevano un loro ruolo forse fino a Karl Marx, ma di sicuro non funzionano più oggi. Dobbiamo avere l’umiltà e la mode- stia di fare il meglio che si può nel luogo in cui ci si trova. Quindi forse più che formare persone, dobbiamo incontrarle e ascoltarle. Cercare di capire il loro sistema di riferimento e trovare dei punti di collaborazione per far procedere la trasformazione energetica e la conversione ecologica. Avanti e insieme». Nelle sue rubriche spesso fa delle riflessioni sul futuro. Ce ne vuole dare una in conclusione? «Quest’anno ai Colloqui di Dobbia- co (eventi, laboratori d’idee, per una svolta ecologica ndr), che ho il pri- vilegio e il piacere di ideare insieme all’amico Wolfgang Sachs, parleremo di speranza. Speranza contro ogni speranza è il titolo dell’edizione. Il futuro? È difficile essere ottimisti e non è neanche un atteggiamen- to utile. Dobbiamo abbandonare la supponenza di poter prevedere la di- namica della situazione storica in cui viviamo. Agire qui e ora e farlo insie- me, al meglio possibile». Personaggi Il processo della transizione ecologica è complesso e tortuoso ed è necessario leggere i contesti generali FOCUS Elementi essenziali per affrontare le sfide future. Ambientali e non solo IL CONTESTO Dalle comunità al Pianeta di Giorgia Marino Ricondominiamoci Transizione in condominio di Fabio Roggiolani ORIZZONTI Tempo di libertà di Rudi Bressa Comunità energetiche Creatività condivisa di Giuseppe Milano PROSPETTIVE Mondi lontani di Sergio Ferraris AGRICOLTURA Condividere per coltivare di Ivan Manzo INFORMAZIONE Piccoli in/formazione di Valeria Criseo GRUPPI D’ACQUISTO SOLIDALE Solidarietà in gruppo di Grazia Battiato MOBILITÀ Muoversi eco di Riccardo Pallotta L’AMBIENTE IN NUMERI Cooperazione di valore di Sergio Ferraris IL PUNTO Vincere la frammentazione di Michele Dotti 36 52 50 28 24 44 533246 48 40 Comunità Cooperazione &24 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 di Giorgia Marino Nonostante ciò che possiamo percepire nel quotidiano, siamo una specie votata alla cooperazione di comunità N on lo si direbbe dalla con- giuntura politica che stiamo vivendo, ma ciò che ha reso gli esseri umani dei campio- ni evolutivi è la loro incredibile capacità di cooperare. Ad affermarlo sono fior di biologi, antropologi, storici e filosofi co- me David Sloan Wilson, Martin Nowak, Elliot Sober, Edward O. Wilson e Yuval Noah Harari, che definiscono la nostra specie come «supercooperante». Unirsi in comunità, lavorare in squadra, orga- nizzarsi in complesse strutture sociali e creare reti sarebbero state dunque le armi vincenti dell’Homo sapiens, più ancora dell’intelligenza, per diventare la specie dominante sul Pianeta. Su questo asso nella manica conviene allora puntare anche oggi che la civiltà umana si trova ad affrontare la sfida più grande della sua storia, ovvero la crisi climatica e ambien- tale. Da questo punto di vista, cooperare è ovviamente necessario a ogni livello, a partire dai grandi consessi internazionali dove si decidono politiche e si firmano accordi più o meno vincolanti, e più o meno efficaci, per orientare l’economia. Ma se governi e organi sovranazionali si muovono necessariamente facendo due passi avanti e uno indietro, con la lentezza esasperante delle istituzioni e la circospezione della diplomazia, questo non significa che le comunità debbano ri- manere ferme ad aspettare. Anzi, l’azione di gruppi, associazioni, collettivi, villag- gi, quartieri e città, oltre ad avere impatti immediati sulla vita quotidiana a svaria- ti livelli (ambientali, economici, sociali, psicologici), ha anche buone probabilità di diventare contagiosa, preparando il terreno per quando arriveranno final- mente le politiche dall’alto. Internazionale, nazionale, individuale. E locale In uno studio pubblicato a ottobre 2021, il Think Tank londinese “New Local” – un network di oltre 70 organizzazioni nato allo scopo di promuovere le com- munity-based solutions – dichiara che «l’azione locale è il pezzo mancante nei piani per combattere il cambiamento climatico». «I livelli considerati – si leg- ge nell’introduzione a “Communities vs Climate Change” – sono in genere quello internazionale, dei trattati, delle conferenze sul clima, degli accordi fra Il contesto Dalle comunità al Pianeta25 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 super-potenze; quello nazionale, degli impegni sul taglio di emissioni e degli incentivi per la transizione ecologica; e quello individuale, che si richiama più che altro alle responsabilità del cittadino come consumatore e come votante alle urne. Il livello locale è invece perlopiù sottovalutato, quando non direttamente ignorato. Eppure questa scala di azione ha caratteristiche di tempestività e con- cretezza che alle altre, troppo astratte o troppo insignificanti, fanno difetto». I ri- cercatori di “New Local” individuano in particolare tre punti di forza dell’azione a livello locale. Innanzitutto, la responsi- vità: un’iniziativa dal basso è più reattiva alle situazioni contingenti e si adatta più facilmente e velocemente a condizioni che cambiano, rispetto a quanto farebbe- ro provvedimenti presi a livello nazionale o, peggio, internazionale. Poi c’è il pote- re di adattamento: dal momento che gli effetti del clima mutano a seconda del contesto, è chiaro che un’azione decisa a livello locale ha più possibilità di rispon- dere in modo efficace alle emergenze specifiche di un’area. Infine, la legittimi- tà: una decisione emersa da un consesso comunitario o comunque locale viene accettata più facilmente rispetto a una disposizione calata dall’alto. È il primato del bottom-up sul top-down. Rivoluzioni a piccoli passi «Scegliete battaglie abbastanza impor- tanti da contare, ma abbastanza piccole da vincerle». Così lo scrittore e attivista americano Jonathan Kozol riassume la teoria della rivoluzione a piccoli passi. Un metodo che è perfettamente appli- cabile all’azione climatica intrapresa a livello locale e di comunità. Cominciare a cambiare il pezzetto di mondo su cui camminiamo ogni giorno e farlo insie- me alle persone che ci stanno intorno, è il miglior modo per non farsi abbattere dalla frustrazione e sopraffare dalla di- sperazione. E soprattutto, funziona. Sono innumerevoli gli esempi che ne pro- vano l’efficacia, basta guardarsi intorno per scoprirli. Ci sono i gruppi di acquisto solidale o Gas, che uniscono il supporto per piccole aziende agricole biologiche al- la grande soddisfazione di mangiare frutta e verdure sempre fresche o le comunità energetiche rinnovabili, che riuniscono in rete singoli cittadini e famiglie per Foto: Dima Slastushevskyi / Visit Samsø26 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 autoprodurre energia pulita, risparmian- do sulle bollette e contribuendo alla transizione o ancora le biblioteche di og- getti, che superano la cultura del possesso estendendo il modello della sharing eco- nomy a utensili di uso comune, attrezzi da giardino, equipaggiamenti sportivi e addirittura giocattoli. C’è anche chi fa il “compost di quartiere” e ridistribuisce in loco il terriccio risultante, come succede nell’XI Arrondissement di Parigi, dove i cassoni di legno in cui gli abitanti dell’iso- lato vanno a versare i loro rifiuti organici sono diventati un punto di ritrovo e di socialità, per scambiarsi consigli di giar- dinaggio e organizzare feste. Così come sono un centro di socialità gli Orti Gene- rali di Torino, progetto di urban farming partito dalla riqualificazione di un’area periferica con tanti piccoli appezzamenti sparsi e coltivati abusivamente che oggi conta 170 orti dati in gestione a prezzi su- per popolari, un polo didattico, un orto collettivo e un’area per pranzi ed eventi. Diventati un modello di rigenerazione urbana, gli Orti Generali hanno vinto nel 2023 un premio nazionale e sono andati a rappresentare l’Italia al Premio del Pae- saggio del Consiglio europeo. Sono tanti piccoli pezzi che compongo- no un quadro di speranza e che a volte ottengono risultati così eclatanti da fare il giro del mondo. Come è successo a una piccola isola del Nord Europa. Risultati visibili Nel 2007 Samsø, isola della Danimar- ca, è diventata la prima isola al mondo alimentata al 100% da energia rinnova- bile. Conta poco più di 4 mila abitanti ed è riuscita nell’impresa in meno di un decennio e il suo percorso è diventato un caso da manuale, studiato in tutto il mondo. Dall’essere totalmente dipen- dente dall’importazione di combustibili fossili, Samsø basa oggi il suo intero ap- provvigionamento energetico su 11 turbine eoliche on-shore e 10 off-shore. E la trasformazione è tutta merito della co- munità. L’impulso lo diede, nel 1997, un bando sulle energie rinnovabili lanciato dal governo danese a seguito del Proto- collo di Kyoto. La comunità di Samsø si trovava allora in una difficile congiuntura economica: il mattatoio che dava lavoro a buona parte dei suoi abitanti era fallito e i giovani non avevano altra scelta che lasciare l’isola. Un investimento di qua- lunque tipo sarebbe stato dunque l’unica alternativa all’abbandono. Ma l’isola non aveva mai adottato alcun impianto rin- novabile e i cittadini non si fidavano del governo nazionale che li aveva coinvolti anni prima in un progetto energetico con il solo risultato di far lievitare le bollette. Ad essere determinante per il caso Samsø fu allora l’impegno di alcune figure in vista della comunità, come i responsabili della biblioteca locale e un agricoltore che assunse il ruolo di tramite fra i cittadini e la società energetica. L’isola è riuscita così a sviluppare un sistema energetico basato su una partecipazione attiva del- la comunità, sia a livello decisionale sia finanziario, poiché delle turbine in- stallate, quelle che non sono di pro- prietà del Comune, appartengono a privati cittadini o a cooperative di piccoli investitori locali. Per vincere anche le resisten- ze “estetiche” che spesso frenano lo sviluppo dell’eo- lico, è addirittura stato implemen- tato un principio secondo cui chiunque riesca a vedere delle pale eoliche dalla sua finestra può diventare investitore. In questo modo, oggi gli abitanti di Samsø hanno raggiunto un’impronta carbonica negativa di -12 tonnellate di CO 2 pro capite, contro la media danese di 6,2 ton- nellate. E hanno risolto i loro problemi economici. Anticorpi di comunità Si potrebbe andare avanti ancora a rac- contare casi studio e successi di azioni comunitarie. Ma il senso è chiaro: cooperazione, coesione sociale, condivi- sione, progettazione partecipata portano vantaggi per tutti e a tutti i livelli. «Nes- suno si salva da solo», è stato detto. E nessuno prospera da solo, se vogliamo riportare la faccenda al mero piano eco- nomico. E nessuno è felice da solo (a parte forse qualche eremita sull’Hima- laya). E infine, tornando alla questione climatica, ancorarsi alle comunità serve anche a creare gli anticorpi per perico- lose derive politiche. «C’è il rischio – ha scritto il geografo Mike Hulme – che una condizione esasperata di panico e disperazione porti le società a dare ri- sposte autoritarie alla crisi climatica». Una risposta comunitaria apre invece la via al «pluralismo e alla speranza, in contrapposizione all’universalismo e alla paura». Trasformando la crisi in un’oc- casione per sperimentare approcci più creativi al nostro modo di abitare, di produrre, di consumare, di stare insie- me: in una parola, di vivere. Il contesto È necessario promuovere soluzioni basate sulla cooperazione Communities vs Climate Change: the power of local action (New Local, 2021) The World’s first renewable island (rapidtransition.org) Orti Generali Piccolo manuale di resistenza contemporanea, Cyril Dion (Ed. Ambiente, 2019) Per approfondire:28 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024 U n tempo, in Italia, l’energia e il carburante avevano costi bassi. Ciò incentivava l’ac- quisto di auto e caldaie è la costruzione di abitazioni ad alto spreco energetico. Quando l’80% degli italiani ha acquistato una casa e molte fami- glie si sono dotate di due automobili è cominciata la persecuzione delle bollette e del pieno di carburante a peso d’oro. I grafici ISTAT confermano questa tendenza: nonostante alcune eccezioni straordinarie, come la guerra del Kippur o la recente guerra in Ucraina, i prezzi sono mediamente raddoppiati dal 1970. Per un lungo periodo, il prezzo del gas è stato mantenuto basso per consentire la costruzione della più grande rete di di- stribuzione del gas al mondo. Tuttavia, una volta completata questa infrastrut- tura, i prezzi hanno iniziato a salire e ci ritroviamo con un Paese oppresso dalle bollette e dai costi del carburante. La moltiplicazione dei nuclei familiari Dal dopoguerra ad oggi, siamo passati da famiglie con una media di cinque figli e nuclei familiari fino a 40 perso- ne nelle campagne a famiglie con una media di 2,5 persone e un terzo della popolazione che vive da solo. Dopo il boom edilizio, il mito del “vado a vive- re da solo”, avrebbe dovuto affermarsi nel ‘68 ma si è concretizzato alla fine degli anni ‘90. Ciò ha portato a un aumento del numero di caldaie e delle bollette, segnando l’inizio dell’impo- verimento dei ceti popolari dopo una crescita relativa di stipendi e benessere fino alla fine degli anni ‘80. Solo in To- scana, tra il 2000 e gli anni successivi, il numero di nuclei familiari è passato da 900 mila a 1,3 milioni. La Tosca- na, nel cuore dell’Italia, riflette in gran parte le medie nazionali. Sono state costruite villette a tre pia- ni con mansarda e cantina, destinate a famiglie composte da single o con al massimo due figli, utilizzando co- operative e altri stratagemmi che ci hanno reso un Paese di eterni pagatori di mutui, soggetti a rialzi a causa di crisi finanziarie che hanno fermato l’edilizia e fatto crollare il valore degli immobili, portando a un’infinita serie di pignoramenti e aste, con conse- guenti drammi. Le famiglie si sono trovate, come du- rante la recente guerra in Ucraina, ad affrontare sia il raddoppio o la tripli- cazione delle bollette sia l’aumento delle rate del mutuo; l’impossibilità di far fronte ai pagamenti ha portato almeno tre milioni di persone sotto la soglia di povertà. I condomìni In questo contesto, i condomìni rappre- sentavano una controtendenza, poiché la condivisione delle caldaie rendeva meno efficaci le strategie di aumento dei prezzi da parte dei petrolieri e delle aziende di distribuzione locali, grazie al- la diluizione dei costi. La traduzione della “teoria della libe- razione” in “liberazione dai genitori” ha portato un ceto politico servile a Transizione in condominio Ricondominiamoci Il condominio oggi è il regno dell’individualismo. Ed è una situazione paradossale di Fabio Roggiolani Foto: AlexGukBO / Depositphotospromulgare leggi che, dall’inizio del 2000, hanno incentivato la separa- zione degli impianti nei condomìni, moltiplicando così caldaie e bollette. Inizialmente, separarsi o vivere da soli non comportava costi elevati, ren- dendo questa scelta apparentemente conveniente. Tuttavia, ci siamo rovi- nati da soli, convinti di liberarci dai fastidi delle riunioni condominia- li, dai vicini morosi e da altri disagi per ritrovarci appesi alla persecuzione delle bollette e di un costo del gas o dell’energia elettrica che non ha pa- ri in nessun altro Paese europeo. Per comprendere meglio: anche la peg- giore delle caldaie condominiali è generalmente più efficiente rispetto a dieci o cento caldaie da appartamento separate. Tuttavia, ancora all’inizio del 2000 si incentivava e favoriva lo spreco energetico nelle abitazioni, portando a un aumento dei costi energetici. Energia in Italia La manovra politica mirava a ripren- dere ai ceti popolari quella parte degli stipendi conquistata, ciò è dimostra- to dall’equivalenza sostanziale degli aumenti dei prezzi. Tutte le giustifi- cazioni addotte (financo il peso degli incentivi alle rinnovabili), sono in- fondate perché la dinamica dei prezzi del gas (che non subiva il peso degli incentivi alle rinnovabili) e dell’elet- tricità si è mantenuta simile. Se c’è stato un calo, è avvenuto proprio nel costo dell’energia elettrica grazie al- le rinnovabili, settore in cui l’Italia era leader europeo fino al 2011 per crollare negli anni successivi a causa delle politiche punitive dei governi di destra e successivamente del periodo renziano. Il blocco degli anni scorsi, poi ri- baltato dal governo Conte II, le cui riforme vengono nuovamente sman- tellate, è dovuto alla particolarità del mercato elettrico che quando nel mix energetico supera il 65/70% di rinnovabili tende a scendere a zero come sta avvenendo in Spagna da mesi. Questo è inaccettabile per il settore dei combustibili fossili, per ovvi motivi. Inoltre, se le rinnova- bili venissero utilizzate per produrre idrogeno da utilizzare con gas e pe- trolio, ciò rappresenterebbe la fine anticipata del loro business. I costi dell’energia in condominio I prezzi dell’energia variano molto tra Nord e Sud Italia. Al Nord, il ri- scaldamento rappresenta tre quarti della bolletta, mentre in molte aree del Sud il costo è quasi nullo. Pertan- to, le cifre di cui parliamo riguardano principalmente il Centro-Nord e le aree montane del Sud. Se prendiamo un condominio con 20 appartamenti avremo 21 bollette una per condòmino e una per le parti comuni condominia- li. Una caldaia condominiale consuma meno rispetto a tante individuali, la manutenzione centralizzata è più facile da ottimizzare e si paga un solo costo fisso anziché 21; questo include una sola manutenzione periodica anziché 21 e una sola canna fumaria anziché diverse. Di conseguenza, la bolletta 29 L’ECOFUTURO MAGAZINE Luglio-Agosto 2024Next >