< PreviousSiamo in paese dove in un attimo complichiamo cose semplici. Siamo sicuri che chi si attiva già oggi non avrà impedimenti normativi domani? «Si c›è una ragionevole certezza che ciò non accada. La norma è stata messa a punto con un allargato processo di partecipazione di tutte le parti interessate e il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli è convergente sull’attuazione di questa nor- ma e ci ha già dato ampie garanzie che saranno rispettati i 60 giorni di tempo che il Mise ha per trovare la formula ottima- le per l’incentivazione sull’energia auto- prodotta e consumata istantaneamente. Se domani un gruppo di cittadini vo- lesse fondare una comunità energe- tica cosa dovrebbero fare? «Ora devono ancora aspettare un attimo perché ci sono i sessanta giorni che ha a di- sposizione il Mise per la realizzare la norma sull’incentivo, poi c’è l’Arera che ha tren- ta giorni per mettere a punto altri dettagli di regolazione, ma una volta uscite queste norme il consiglio è quello di rivolgersi a cooperative energetiche o altre entità che stanno già sperimentando queste forme, o a nuovi promotori che nasceranno in modo da avere consigli pratici sul da farsi. Nelle prossime settimane è mia intenzione spie- gare diffusamente le opportunità legate alla comunità energetiche. Bisogna tenere pre- sente che di sicuro ci saranno molte azien- de di servizi che offriranno consulenze, sia per l’apertura, sia per la manutenzione delle comunità energetiche. Sono abbastanza ot- timista circa il fatto che ci saranno diver- se imprese che si offriranno per il sostegno della realizzazione di queste comunità. Credo che si creeranno parecchie realtà che offriranno supporto, servizi o addirittura il pacchetto chiavi in mano, comprensivo anche della parte burocratica relativa alla costituzione della comunità». Tutto bene. Ma come si posso- no tutelare i cittadini da eventuali truffe legate a questa nuova atti- vità che pochi conoscono? «Si tratta un problema che è trasversale a tutte le attività specialmente quelle nuove. Ciò che possiamo fare è invitare i cittadini ad affidarsi ad aziende di comprovata esperienza nelle rinnovabili e magari un›attività da lungo tempo nel settore delle rinnovabili. È necessario che non si facciano scelte affrettate lasciandosi abbagliare da offerte che promettono miracoli. Personalmente sto spingendo affinché gli enti pubblici preposti facciano comunicazione e consulenza sul territorio e anche online, ma ad attivarsi devono essere soprattutto le organizzazioni d›impresa: hanno solo da guadagnare da queste nuove attività». Per finire le comunità energeti- che quanto possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi che ci siamo dati al 2030? «È complicato fare delle previsioni di questo tipo, in particolare in questo nuovo scenario di crisi.Di sicuro le potenziali- tà per dare un contributo importante ci sono. Contando solo i tetti dei condomini e degli altri edifici, ci si rende conto che a disposizione abbiamo decine di Giga Watt e quindi le potenzialità ci sono. Come sem- pre la differenza la fanno gli strumenti a disposizione, specialmente la conoscenza di questi strumenti. Per cui anziché fare previsioni, io mi impegno a rendere perva- siva questa possibilità, perché il solo fatto che abbiamo un milione di condomini che possono realisticamente dimezzare la bol- letta ci dovrebbe consentire di creare mol- te comunità e di conseguenza una grande quantità di energia pulita». ▲ tivo saranno realizzate nuove configurazio- ni di produzione e consumo di energia fino ai 200 kW che prima non potevano essere realizzate. Potremo far partire da subito una serie di cantieri e lavori su condomini e attività produttive per ridurre in maniera sensibile le bollette energetiche e la neces- sità di approvvigionamento verso l’estero». Tutto bene ma in quale maniera? «L’autoconsumo collettivo comporta una minore spesa in bolletta per un diverso utilizzo della rete elettrica. Inoltre si avrà un sostegno diretto con un incentivo che deve essere stabilito nei prossimi mesi dal Ministero dello Sviluppo. Questi stru- menti potranno essere impiegati in com- binato disposto delle detrazioni fiscali che già esistono e il Ministro Patuanelli ha già dichiarato di voler rafforzare, ossia gli ecobonus, e la possibilità di fare autopro- duzione di elettricità, che per esempio può servire ad alimentare le pompe di calore, cambiando così il sistema termico di un condominio e passando dalle caldaie alle pompe di calore che sono molto più effi- cienti. Così abbiamo la possibilità reale di dimezzare la bolletta per centinaia di mi- gliaia di italiani e stimolare l’economia reale con la creazione di nuovi posti di lavoro. ». Quali sono le questioni tecniche aperte? «C’è la necessità di scelte chiare. Già il fatto di aver utilizzato la modalità virtuale rispetto a quella fisica è una prima scelta che potrebbe confermare la validità del modello. E non è cosa da poco perché con la modalità virtuale non sarà necessario du- plicare intere porzioni di reti con dei cavi fisici e si renderà più snello il modello. Poi ci sarà da mettere a punto il meccanismo alternativo allo scambio sul posto che vada a incentivare tutto l’autoconsumato. Si tratta di un passaggio chiave perché oggi il meccanismo dello scambio sul posto re- munera l’energia autoprodotta sul nostro tetto nel momento in cui viene inviata in rete. Noi invece dobbiamo incentivare l’autoconsumo e il meccanismo previsto nella normativa premia tutto l’autoconsu- mo istantaneo, anche quello con i sistemi di accumulo. Quindi saremo in grado di mettere a punto una tariffa incentivante che incrementi l’autoconsumo e lo stoc- caggio. In modo che nei momenti di ne- cessità l’utente può usare l’energia autopro- dotta e stoccata prima prelevarla dalla rete». L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 20Mr. Prosumer La democrazia energetica oggi ha un nuovo protagonista: il prosumer 21 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 D ario Tamburrano, già europarlamentare esperto in energie rinnovabili e transazione ecologica è stato il protagonista della creazione in Europa della figura del prosumer, cosa che aveva nella testa da 10 anni. Ossia da quando il proprio condominio, nel 2005, gli negò il permesso d’installazione dei pannelli fotovoltaici per prodursi elettricità da solo. Tamburrano ci ha raccontato come ha costruito, a Bruxelles, la figura del prosumer che sarà il soggetto protagonista della democrazia energetica. In Europa come è nata l’idea delle comunità energetiche? «A Bruxelles la cosa è nata nel 2015 con una comunicazione della Commissione europea che si chiamava "New deal for energy consumer" (https://bit.ly/2xz1J9Q), sulla quale il Parlamento era chiamato a esprimersi. Da qui mi sono reso conto che la Commissione citava il termine prosumer, - il produttore/consumatore, N.d.R. - ma non ne dava alcun tipo di definizione giuridica, per cui questi soggetti non avevano in sostanza alcun tipo di diritto. Visto ciò ho proposto, con una serie di emendamenti, al Parlamento, una definizione giuridica e legale del prosumer, essendo questa una figura chiave imprescindibile nel contesto della transizione energetica. E bisogna tenere conto che definendo in questo contesto i diritti dei singoli, si apriva la strada alle comunità dell’energia, ossia un gruppo di prosumer. E la proposta ha convinto». E quindi cosa è successo? «Anche grazie al supporto della relatrice Laburista, Thersa Griffin il mio testo è stato subito accettato dai Socialisti dai Verdi, e dalla Gue (il gruppo più a sinistra nel Parlamento Europeo). Ma anche così non avevamo la maggioranza e per avere con noi i Liberali ho limato il testo e questi ultimi si sono rivelati “Liberali” di nome e di fatto. Hanno, infatti, sostenuto i prosumer perchè si tratta di una questione di libertà del singolo cittadino. Il termine prosumer, poneva poi una questione di tipo legale, perchè nel momento in cui il cittadino diventava anche produttore d’energia vi era la conseguenza inevitabile, sotto il profilo giuridico, che dovesse assumersi anche tutti gli obblighi del produttore d’energia tradizionale, cosa che avrebbe bloccato di fatto tutto il processo. E come avete risolto? «Una delle difficoltà è stata quella di dare ai prosumer, che infatti poi nei documenti successivi si sono chiamati self-consumer, i diritti dei consumatori senza avere gli obblighi dei produttori tradizionali. I prosumer sono quindi una categoria ibrida. E il passaggio successivo è stato quello delle comunità energetiche. Su questo schema complessivo abbiamo ottenuto la maggioranza, per cui la posizione del Parlamento, in merito alla comunicazione della Commissione, includeva la richiesta di proporre un quadro regolatorio per i prosumer con una serie di suggerimenti molto chiari. Dopo di che la Commissione europea ha inserito all’interno delle direttive del “Clean energy package” sia i prosumer, sia le comunità energetiche». E sul fronte degli oneri di sistema come è andata? «Uno degli obiettivi che mi sono posto, oltre a tutto ciò, è stato quello di non assoggettare agli oneri di rete l’energia prodotta e consumata direttamente dai prosumer e su questo fronte è stata dura, perchè si andava a toccare tutta una serie di interessi che avrebbero avuto tutto da perdere di fronte all’energia rinnovabile, a basso costo e prodotta a livello diffuso. «Tassare l’energia rinnovabile autoprodotta che cade dal cielo con il sole o portata dal vento e consumata in casa, è come tassare i pomodori dell’orto di casa”, questa era il mio slogan nelle roventi sedute di confronto con chi si opponeva a questa piccola rivoluzione». E qui devo dire che ho avuto fortuna perché il relatore spagnolo socialista della direttiva José Blanco López ha “subappaltato” a me e ai Verdi la gestione dell’articolato sui prosumer ed energy communities e in questa maniera siamo riuscito a gestirlo al meglio, riuscendo a strappare, alle tre e mezzo del mattino, che l’autoconsumo senza oneri di rete passasse da 3 a 30 kWe di potenza produttiva e che non ci fosse nessun tipo di limitazione. Quando tutto ciò è arrivato al Consiglio UE a mettersi di traverso è stata la Germania che voleva dei limiti più stringenti sull’autoconsumo, minacciando di far saltare tutto l’accordo sulla direttiva. A quel punto, avendo raggiunto un accordo molto ambizioso abbiamo potuto trovare un punto di mediazione dando ai cittadini UE dei diritti come prosumer (e quindi come comunità dell’energia) estremamente vantaggiosi. ▲22 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 LA CORNICE / di Sergio Ferraris Adattarsi al clima La partita della mitigazione potrebbe essere persa, ma quella sull’adattamento, meno nota, potrà essere vincente. Anche alla luce della crisi Coronavirus C lima. Da due anni è tor- nata alla ribalta l’emer- genza legata ai cambia- menti climatici. Il primo allarme lo ha lanciato l’Ipcc che con un proprio report periodico dell’ottobre 2018 ha fissato come limite inderogabi- le gli 1,5°C al 2100 e non i 2°C dell’Ac- cordo di Parigi. In contemporanea una giovane ragazza svedese e un sociologo inglese, Greta Thundberg e Roger Hallam davano vi- ta a due movimenti per la difesa del cli- ma: Fridays For Future ed Extinction Rebellion. Nello stesso periodo arriva- vano a un giro di boa molti studi sul cli- ma che affrontavano i tipping point, os- sia i punti considerati dai climatologi di non ritorno. Tradotto quegli eventi di cui si hanno i sintomi e che non sono mai stati osser- vati prima nella storia dell’uomo, come la riduzione della produzione d’ossige- no degli oceani dovuta all’acidificazio- ne provocata dall’eccesso di CO 2 , lo scioglimento del permafrost e il rilascio di metano - 25 volte più potente della CO 2 sul fronte del clima - e lo sciogli- mento dei ghiacciai della Groenlandia al ritmo di 8mila litri d’acqua al secon- do. Sul fronte opposto, quello delle emissioni, si è registrato un continuo aumento sia della CO 2 presente in at- mosfera, sia di quella emessa pro capite a livello mondiale, mentre il lavoro per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, che con i livelli volontari di riduzione delle Diana Bagnoli23 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 *giornalista scientifico, caporedattore Ecofuturo Magazine La Iea vede al 2040 un aumento dei consumi di petrolio e gas metano fossile, con una lieve diminuzione del carbone e un aumento delle rinnovabili, insufficiente rispetto alle necessità. Il problema di fondo è che il 2040 è, sul fronte energetico, dietro l’angolo, meno di un ciclo energetico standard che è di 25 anni nazioni firmatarie ci porterebbe co- munque a più 3,2°C al 2100, mostra evidenti segni di stallo. Nel frattempo proseguono gli investimenti fossili. Un grafico Iea presentato nel recente Word Energy Outlook 2019 vede al 2040 un au- mento dei consumi di petrolio e gas meta- no fossile, con una lieve diminuzione del carbone e un aumento delle rinnovabili si- gnificativo in termini percentuali, ma in- sufficiente rispetto alle necessità. Il problema di fondo è che il 2040 è, sul fronte energetico, dietro all’angolo, meno di un ciclo energetico standard che è di 25 anni minimo. Tradotto: le centrali fossili che stiamo realizzando ora, come i 250 GW a carbone cinesi, rimarranno in fun- zione per un bel pezzo, facendoci superare gli 1,5°C al 2100. E si tratta di grandi scel- te di politica energetica sulle quali l’in- fluenza dell’opinione pubblica dal basso ha poca presa, visto che le nazioni cardine di tutto ciò - Cina, India, Russia e Stati Uniti - hanno una bassa democrazia ener- getica e sembrano ignorare nei fatti le pres- sioni dei movimenti per il clima. Parola d’ordine adattamento Ma se la partita legata alla mitigazione appare in stallo, non lo potrebbe essere quella dell’adattamento ai cambiamenti climatici che saranno necessari per affrontare la crisi climatica, così come saranno necessarie politiche d’adattamento sociali. Se da un lato stanno arrivando, già ora, gli effetti dei cambiamenti climatici anche e specialmente alle nostre latitudini - ghiacciai alpini ridotti del 50%, il Po al minimo idrometrico annuale a febbraio anziché agosto e la capacità dei bacini montani ridotta del 50% in pieno inverno - sul fronte sociale sta arrivando lo tsunami, per il lavoro, rappresentato dalla robotica e dall’intelligenza artificiale per il quale avremo al 2040 - secondo l’istituto di ricerca economica McKinsey - una riduzione mondiale tra il 45% e il 52% dei posti di lavoro. E non si creda che la “green economy” sia una panacea per tutto ciò, visto che le nuove lavorazioni dell’economia circolare funzioneranno tutte secondo i dettami di Industria 4.0 con un alto tasso di robotica e intelligenza artificiale, a partire dalla selezione dei rifiuti che renderà a breve obsoleta la raccolta differenziata, rendendo inutili persino gli addetti anche in questo settore. Clima e occupazione come doppia tenaglia rispetto al futuro? Non è detto che sia così, ma sarà necessario trasformare le crisi in opportunità, prima di tutto non negandole, ne rifugiandosi, specialmente per quanto riguarda il clima, in un incauto eco-ottimismo che spesso sa di green washing ed è utile solo a non identificare le dinamiche. In secondo luogo sarà necessario abbandonare la visione individualista delle dinamiche sociali, per “tornare” a quella collettiva che troppo spesso è stata stigmatizzata come “del secolo scorso”. Contemporaneamente è necessario che l’opinione pubblica, dal basso, faccia pressione non tanto sulle industrie che hanno ampiamente dimostrato -tranne poche eccezioni- di “ricattare” i consumatori proponendo solo soluzioni costose e ambientalmente insostenibili al solo fine di drenare valore dai corpi sociali, ma sulla politica che deve tornare a essere il vero game changer.Cambiamenti nel Mix Energetico Globale 2018 a confronto con le politiche dichiarate al 2040 Misurato in Mtep* Sulla base dei quadri politici attuali e annunciati nel 2040 il petrolio costituirà circa il 28% del mix energetico globale PetrolioGas NaturaleCarboneAltre RinnovabiliBioenergia Nucleare Biomassa solida Idroelettrico Il consumo di gas aumenterà di quasi il 30% rendendolo quasi altrettan- to importante del petrolio nel mix energetico Nonostante la costante diminuzione nel consumo di carbone nei paesi occiden- tali, la domanda sarà sostenuta dall'Asia L'uso di energia rinnovabile, inclusi solare ed eolico, aumenterà di oltre il 300% L'uso delle moderne bioener- gie raddoppierà quasi, mentre la biomassa tradizio- nale (vale a dire legno, carbone, ecc.) cadrà in disgrazia 2 0 1 8 2 0 4 0 20 1 8 2 0 4 0 2 0 1 8 2 0 4 0 2 0 1 8 2 0 4 0 2 0 1 8 2 0 4 0 2 0 1 8 2 0 4 0 2 0 1 8 2 0 4 0 2 0 1 8 2 0 4 0 5 5 0 1 3 0 0 3 8 5 0 4 5 0 0 6 5 0 4 5 0 0 3 5 0 0 7 0 0 7 0 0 3 5 0 4 9 0 0 3 0 0 3 7 5 0 1 3 0 0 9 0 0 5 0 0 * Milioni di tonnellate equivalenti di petrolio Fonte: IEA, World Energy Outlook 2019 David - Gofy -De Angelis25 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 E una dimostrazione di ciò arriva dalla crisi del Coronavirus. Di fronte a una crisi biologica che ha scagliato l’Italia nella più grave emergenza dal dopoguerra si è rivalutato il ruolo della dimensione collettiva, che è tipico delle crisi sanitarie, e il protagonismo del pubblico. Sono le strutture pubbliche, in primis quelle sanitarie ma anche il Governo, ad avere la gestione della crisi con un settore privato che è letteralmente “evaporato” il cui unico ruolo è quello di subire i colpi economici di questa crisi. E infatti il giorno dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Italia le borse europee hanno visto un calo del 10% secco con un crollo del prezzo del petrolio del 25% dovuto all’avidità dei paesi Opec che a fronte del blocco della produzione di Cina, Corea del Sud e Italia, non hanno voluto diminuire la produzione. Oltre a ciò il Coronavirus sta testando la tenuta dei sistemi sanitari nazionali pubblici alle crisi, cosa che servirà nel prossimo futuro per le politiche d’adattamento. E anche nel settore sanitario ciò che spicca è l’assenza del privato che dove c’è anche la sola ipotesi di diminuzione, o assenza dei profitti – come nel caso della unità di terapia intensiva – “evapora” immediatamente. E in questo quadro potrebbero essere messi alle corde anche sistemi liberisti come quello degli Stati Uniti di Trump, dove per negare l’evidenza sia del clima, sia del Coronavirus, si arriva a censurare impedendo agli scienziati del settore pubblico di avere liberi rapporti con la stampa. E non si creda che i sistemi sanitari pubblici non giocheranno un ruolo fondamentale nell’adattamento al clima. Nel suo volume “Catastrofi climatiche e disastri sociali” il sociologo Pascal Acot è molto chiaro. Analizzando gli effetti dell’ondata di calore del 2003 in Francia Acot mette in luce che la mortalità nella zona Nord della Francia fu doppia rispetto a quella del vicino Belgio, a parità di densità di popolazioni, abitudini e temperatura. La differenza? Il sistema sanitario belga è migliore di quello francese e il suo sistema di comunicazione è più efficiente per una fascia a rischio come quella degli anziani. E l’ondata di calore del 2003 per la Francia non fu una passeggiata con i suoi oltre 20mila decessi. Per cui cari lettori – che siete anche elettori – nel leggere i prossimi programmi sarà il caso di prestare attenzione ai capitoli clima, lavoro e salute. E sottolineare ai propri politici di riferimento che il pubblico avrà un ruolo essenziale nel salvare il nostro futuro. ▲ Clima e Coronavirus26 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 La concimazione organica è uno strumento concreto per un' agricoltura resiliente e carbon negative Organico è il suolo AGRICOLTURA / di Stefano Bozzetto* e Lorella Rossi** P arliamo di agricoltura e di cambiamenti climatici: il cuo- re di tutto è il bene più pre- zioso nelle mani dei nostri agricoltori: la terra, il suolo agrario. È ora di renderesene conto. Lo scorso ot- tobre l’ Ipcc Report on Climate Change and Land Use è arrivato a una conclu- sione per noi fondamentale: «La terra è sottoposta a una crescente pressione umana. La terra è una parte della solu- zione. Ma la terra non può fare tutto». Definito “Cambiamenti climatici e terra”, il Rapporto afferma che mantenere il ri- scaldamento globale sotto i 2° C può esse- re raggiunto solo riducendo le emissioni di gas a effetto serra di tutti i settori, compre- si i terreni e gli alimenti. «L’agricoltura, la silvicoltura e altri tipi di uso del suolo rappresentano il 23% delle emissioni di gas a effetto serra di origine umana, - ha affermato Jim Skea, copresidente del grup- po di lavoro IPCC III. - Allo stesso tem- po, i processi naturali terrestri assorbono l’anidride carbonica equivalente a quasi un terzo delle emissioni di anidride car- bonica prodotte dai combustibili fossili e dall’industria». Il Suolo agricolo e la Natura in generale, le cosiddette “natural climate solutions”, han- no secondo il premio Nobel Rattan Lal un potenziale di sequestro capace di ridurre la concentrazione atmosferica in questo secolo di circa 150 ppm. Le emissioni ne- gative non sono una “scusa” per continuare a emettere carbonio fossile dalla geosfera nell’atmosfera. Ciò che dobbiamo fare è molto chiaro: ridurre le emissioni da fonti fossili il più rapidamente possibile incominciando dal carbone e dal petro- lio, sostituendoli con fonti rinnovabili e nel contempo ridurre attivamente le concentrazione di CO 2 nell’atmosfera catturandola e sequestrandola dove non è dannosa: nel suoli agricoli, nel costru- ito, nel sottosuolo. Sequestro di carbonio nei suoli agricoli Il sequestro di carbonio nei suoli agricoli, a partire da quelli coltivati, è tra le soluzioni più efficaci da attuare in quanto ne miglio- ra nel contempo la fertilità. Dopo anni di concimazione chimica, i suoli agricoli si sono impoveriti sino a raggiungere in mol- ti casi anche nella fertile pianura padana, meno dell’1% di sostanza organica. Con questi contenuti in sostanza organica non c’è vita nel suolo che possa definirsi tale. La produzione agricola è completamente dipendente dagli apporti di fertilizzanti esterni.Più il terreno è “vuoto di carbonio”, impoverito di sostanza organica, maggiore è il potenziale di sequestro; «Circa 135 miliardi di tonnellate di carbonio sono state perse nell›atmosfera, in parte a causa delle pratiche agricole che hanno rimosso il carbonio dal suolo» ha affermato Lal. «Tali pratiche includono lasciare il terre- no nudo dopo il raccolto, arare la terra e bruciare i residui del raccolto, piuttosto 27 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 che lasciarlo disintegrare attraverso il lavo- ro dei microrganismi nel suolo. Utilizzan- do pratiche agricole rigenerative, il suolo può rimuovere dalle 65 alle 75 parti per mi- lione di anidride carbonica dall’atmosfera. Ciò significherebbe che tra 25 e 50 anni, i 135 miliardi di tonnellate di carbonio persi nell’atmosfera possono essere ripristinati nel terreno di appartenenza». Il suolo non è una miniera, non è un am- biente confinato in cui “stoccare della CO 2 ”. La sostanza organica cresce nel terre- no in funzione della quantità degli appor- ti, che a loro volta devono essere maggiori delle perdite, che comunque possono essere ridotte, ma mai azzerate del tutto. Dobbiamo quindi fare in modo di aumen- tare gli apporti di sostanza organica e fare sì che il carbonio nel suolo resti il più a lungo possibile, creando un bilancio posi- tivo. Passare cioè da tecniche di fertilizza- zione che si basano solo sugli apporti degli elementi chimici a una tecnica di “ Integra- ted Soil Nutrient Management” (Gestione integrata dei nutrienti del suolo) che con- sideri anche gli apporti di carbonio, privi- legiando quindi la concimazione organica. Agroecologia al servizio del clima che cambia L’interesse per il potenziale di stoccaggio nei suoli è legato al fatto che il suolo costi- tuisce il più grande serbatoio di carbonio terrestre, pari a circa tre volte il contenuto attuale di carbonio dell’atmosfera, quattro volte l’ammontare delle emissioni antro- pogeniche cumulate sino a oggi dagli inizi della rivoluzione industriale e 250 volte l’ammontare delle emissioni da combusti- bile fossile annuali. Incrementare il conte- nuto di carbonio nel suolo, anche di poco in termini percentuali, può rappresentare un sostanziale contributo alla sottrazione di CO 2 dall’atmosfera; allo stesso modo una perdita di carbonio costituisce un ostacolo a obiettivi ambiziosi di mitiga- zione del cambiamento climatico. I principi fondamentali della “soil carbon sequestration” (sequestro del carbonio nel suolo) sono due, tra loro correlati: Aumentare gli input di sostanza organica al terreno attraverso una intensificazio- ne ecologica delle produzioni agricole al fine di aumentare l’apporto di resi- dui agricoli e ripristinare o incrementa- re la concimazione organica dei suoli; ridurre il disturbo della vita biologica dei suoli agricoli riducendo al minimo le lavorazioni ricorrendo alle minime la- vorazioni, sino alla semina su coltura di copertura vivente. La cosiddetta agricoltura intensiva non ha proprio nulla di “intensivo” in termini di conversione fotosintetica dell’energia sola- re in biomassa: una rotazione soia – mais biennale, garantisce una copertura vegetale degna di tale nome solo per 8-10 mesi su 24. Nessun proprietario di un impianto fo- tovoltaico si sognerebbe di tener spento il proprio pannello per 14 mesi su 24. Eppu- re in agricoltura adottiamo queste rotazioni per mancanza di convenienza economica a praticare le colture di copertura. Produrre di più dallo stesso campo, più carbonio da fotosintesi ottenuto in modo ecologico migliorando l’efficienza nell’u- tilizzo dell’azoto, dell’acqua e del carbo- nio con una copertura prolungata del ter- reno grazie a colture di copertura invernali ed estive, è quanto dobbiamo sforzarci di fare unitamente a minime lavorazioni e agricoltura di precisione grazie alla diffu- sione di supporti digitali GPS ottimizzan- do l’efficienza dell’uso dell’acqua e dei nu- trienti, riducendo al contempo i fenomeni di respirazione e perdita della sostanza or- ganica. Un digestore anaerobico inserito in un’azienda agricola può servire proprio a fare tutto questo.28 L'ECOFUTURO MAGAZINE gennaio/febbraio 2020 Biogas fatto bene al servizio dell’agroecologia A differenza di altre bioenergie, con la digestione anaerobica grazie alla trasfor- mazione biochimica restano disponibili “riciclati” nel digestato il 100% dei nu- trienti, azoto in primis e circa il 40-50% del carbonio in ingresso, rimasto indige- rito. La digestione anaerobica per questo non è una bioenergia come le altre ma un vero e proprio facilitatore della conversio- ne agroecologica delle aziende agricole. “Spontaneamente” un agricoltore del bio- gas fatto bene efficiente adotta le seguenti pratiche agronomiche: • aumento sostenibile della produzione fotosintetica con le doppie colture; • sviluppo della concimazione orga- nica con riduzione netta dell’uso di concimi chimici; • adozione delle tecnologie del pre- cision farming e dei contributi della digitalizzazione (e robotica) al mi- glioramento della sostenibilità delle pratiche agricole; • riduzione delle emissioni derivanti dalla produzione di effluenti zootec- nici e sottoprodotti agroindustriali; • rapida sostituzione di fonti rinno- vabili, solare e biometano in primis, negli usi finali dell’energia. Il sistema ha un valore nel suo complesso; per esempio l’utilizzo del digestato rispet- to alla concimazione organica con effluen- ti bovini, comporta un miglioramento dell’indice di umificazione degli apporti organici esterni; a questo riguardo il bio- gas fatto bene da tempo sostiene l’impor- tanza dell’utilizzo delle doppie colture in digestione anaerobica invece che del sove- scio, previa una restituzione del digestato in occasione della semina del secondo rac- colto. Il bilancio del carbonio è nettamen- te migliore nel caso di sistemi colturali che prevedono la doppia coltura per il biogas e restituzione del digestato in presemina, rispetto al sovescio. Il digestore anaerobico in un’azienda agri- cola è quindi come se fosse un secondo ru- mine, il biogas come un facilitatore della concimazione organica e della conversio- ne agroecologica delle pratiche agricole convenzionali. Attraverso una sempre più estesa adozione di queste pratiche è possi- bile per un azienda dedita all’allevamento di bovini diventare sempre più indipen- dente dall’utilizzo di proteine di acquisto (per esempio soia brasiliana) mediante la diffusione di colture di copertura a base di cereali ed azoto fissatrici seguite da una coltura estiva per il digestore (per esem- pio il mais), riducendo sino a eliminare il costo di concimazione chimica attra- verso una aumento della disponibilità di sostanza organica non limitata solo agli effluenti della propria stalla ma al digesta- to prodotto con questi e con colture di secondo raccolto. Il digestato è una nuova risorsa per disac- coppiare lo sviluppo della concimazione organica dalla crescita indefinita del patri- monio zootecnico. Il ruolo dei ruminanti nelle aziende agri- cole è stato quello di “bioreattori a quattro zampe” in grado di trasformare risorse li- gnocellulosiche non commestibili in pro- teine nobili e amminoacidi essenziali. I ruminanti sono spesso considerati tra i principali responsabili della crescita delle emissioni di gas serra. In realtà, se consi- deriamo il patrimonio bovino attuale de- gli Stati Uniti, in peso è sostanzialmente analogo a quello delle mandrie di bisonti presenti nelle praterie del Mid West prima della colonizzazione degli europei . . L’ado- zione di razze altamente produttive per latte e carne e il miglioramento delle con- dizioni di allevamento, è stata il miglior modo per ridurre le emissioni per unità di capo allevato, in particolare di quelle ente- riche di metano. Ma una diffusione della concimazione or- ganica supportata da un’indefinita cresci- ta del patrimonio zootecnico non sarebbe possibile poiché il fabbisogno di superfi- cie e di nutrienti in particolare di azoto, per la produzione di foraggi renderebbe questa prospettiva non sostenibile dalle risorse del Pianeta. La digestione anae- robica nelle aziende agricole, è allora un modo concreto per disaccoppiare la diffusione della concimazione organica dalla crescita indefinita del patrimonio zootecnico ovvero per poter disporre di nuovo concime organico dove la zo- otecnia non è diffusa. Il digestore in un’azienda agricola diventa quindi uno strumento senza alternative per la diffusione della concimazione orga- nica e delle migliori pratiche per il seque- stro del carbonio nei suoli e per il ripri- stino della fertilità biologica dei terreni; è questo il modo in cui pensare alla dige- stione anaerobica in un’azienda agricola, prima ancora di considerarlo una fonte di gas rinnovabile. ▲ * Dottore agronomo, imprenditore, membro Comitato esecutivo CIB e consigliere EBA ** Dottore Agronomo, Responsabile Area Tecnica CIBBENVENUTI NEL FUTURO DISINFETTA DISTRUGGE MIGLIORA ELIMINA simultaneamente Aria e Superfici gli agenti batterici, chimici e allergenici la sicurezza e la qualità della vita definitivamente i cattivi odori Utilizzata in ambito aerospaziale, sanitario, alimentare, sportivo e ovunque siano richiesti i più elevati standard di purificazione e sanificazione ambientale, la tecnologia AIRsteril garantisce livelli di efficacia e sicurezza fino ad oggi inarrivabili. 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